Public editor

Anna Masera

Evitiamo gli anglicismi quando si può

Se dovessi tradurre “Public Editor” direi curatore del pubblico
Evitiamo gli anglicismi quando si può

Diversi lettori mi hanno scritto perplessi per il termine in inglese “Public Editor”, chiedendomi se si possono evitare gli anglicismi. Confesso di avere una formazione per metà americana, per cui ammetto di sentirmi a mio agio di fronte all’utilizzo di termini in inglese. Ma quando è possibile evitarli, ovviamente sono d’accordo. Possiamo dirlo in italiano senza combattere battaglie di retroguardia contro l’inglese?

Se ne occupa l’Accademia della Crusca, che recentemente ha pubblicato un volume su “La lingua italiana e le lingue romanze di fronte agli anglicismi”. E ricordo il richiamo della pubblicitaria esperta di comunicazione Annamaria Testa, che l’anno scorso alla Camera dei deputati ha criticato l’utilizzo addirittura da parte delle Istituzioni e del governo di termini in inglese, quando esistono i corrispondenti in italiano. Perché dire “jobs act” quando si parla di una legge sul lavoro, “form” quando si può dire modulo, “market share” invece di quota di mercato? In effetti per il bene della lingua italiana serve uno sforzo in più, e sono in tanti a essere d’accordo. Infatti la sua petizione online #DilloInItaliano ha raccolto quasi 70 mila firme.

Il problema è che, come ha spiegato bene qualche anno fa Il Post, il public editor è un ruolo creato da alcuni quotidiani americani, in Italia non è mai esistito. Altri giornali europei hanno adottato ruoli simili con diciture diverse: dal “readers editor” (curatore dei lettori) al Guardian alla “defensora del lector” a El Pais.

In Italia ci si avvicina il termine Garante del lettore. Ma fatemi spezzare una lancia a favore della definizione “public editor”. L’editor, più che garante, è curatore. E nell’era di Internet il pubblico a cui si rivolgono i giornali su tutte le loro piattaforme (Web, social media, mobile: tutti termini inglesi di cui ci siamo appropriati con l’avanzare della rivoluzione digitale, abbiate pazienza!) non è più solo lettore: è fruitore, spettatore, commentatore, membro attivo di una comunità di utenti. Caro pubblico, ci siamo capiti? Il mio compito è curarmi di voi.

@annamasera

I perché dei nostri lettori

Mio padre e mia madre leggevano La Stampa, quando mi sono sposato io e mia moglie abbiamo sempre letto La Stampa, da quando son rimasto solo sono passato alla versione digitale. È un quotidiano liberale e moderato come lo sono io.

Mario
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Perché mio papà la leggeva tutti i giorni. Perché a quattro anni mia mamma mi ha scoperto mentre leggevo a voce alta le parole sulla Stampa. Perché è un giornale internazionale.Perché ci trovo le notizie e i racconti della mia città.

Paola, (TO)
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Leggo La Stampa da quasi 50 anni, e ne sono abbonato da 20. Pago le notizie perché non siano pagate da altri per me che cerco di capire il mondo attraverso opinioni autorevoli e informazioni complete e il più possibile obiettive. La carta stampata è un patrimonio democratico che va difeso e preservato.

Anonimo
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Ho comprato per tutta la vita ogni giorno il giornale. Da due anni sono passato al digitale. Abito in un paesino nell'entroterra ligure: cosa di meglio, al mattino presto, di.... un caffè e La Stampa? La Stampa tutta, non solo i titoli....E, visto che qualcuno lavora per fornirmi questo servizio, trovo giusto pagare un abbonamento.

Sandro, Garlenda (SV)