____________________ (BUTTON) Submit Home / Ideas / Letture / Con la pandemia, una nuvola di anglicismi nel nostro linguaggio Con la pandemia, una nuvola di anglicismi nel nostro linguaggio Pubblicato il 10 Maggio 2020 in Ideas, Letture da redazione -- altre espressioni che provengono dall’ambito scientifico (spike, spillover) o politico-economico (recovery fund, coronabond). Un’analisi degli anglicismi del lessico giornalistico e televisivo mostra anche che una gran quantità di vocaboli già in circolazione hanno aumentato la loro frequenza (trend, screening, task force) o si sono radicati in -- A metà marzo, mentre il presidente Conte annunciava il decreto “Cura Italia”, l’anglicismo è entrato ufficialmente nei titoli di molti giornali e in televisione, e le virgolette sono definitivamente cadute insieme alle spiegazioni da affiancare. Nell’archivio del Corriere.it -- diventata la nostra, e persino Conte ha usato questa parola più di una volta in televisione. Compiendo analoghe ricerche su quotidiani come Le Monde o El País l’anglicismo risulta invece assente o quasi, esattamente come non compare sulla Wikipedia francese e spagnola, al contrario di quella italiana. Non si tratta perciò di un -- spagnolo cuarentena). Sono molti gli anglicismi trapiantati nella lingua dei giornali con le stesse modalità di lockdown, anche se meno popolari. Fino a marzo, sulla stampa si leggeva del famigerato mercato di Huanan della città di -- un solo articolo, in aprile in 12. Altri anglicismi che provengono dagli ambienti internazionali riguardano l’economia e la politica della Comunità europea, per esempio, da cui sono arrivati i recovery fund (fondi per la ripresa) inizialmente denominati sui giornali anche recovery bond (visto che le obbligazioni si dicono sempre più spesso bond e si ritrovano in eurobond e coronabond). Gli anglicismi evocano un registro più alto con cui elevarsi socio-linguisticamente, suonano più precisi e tecnici, e dunque si diffondono e radicano senza traduzione sia nelle discussioni -- dei neologismi del nuovo millennio è in inglese, stando ai dizionari. In molti casi per giustificare la “necessità” di un anglicismo capita che si reinventi il suo significato trasformandolo in qualcosa di nuovo anche se non lo è affatto. Droplet, per esempio, significa -- attecchire si ricava nei confronti degli equivalenti italiani una specificità che non avrebbe, si spinge al punto da produrre veri e propri pseudoanglicismi che si discostano dai significati ortodossi o sfociano in ricombinazioni di radici che suonano inglesi ma sono soltanto maccheroniche. -- ha fatto quasi perdere la cognizione del tempo, e l’espressione appare oggi la più naturale, come se avessimo sempre detto in questo modo e non ci fossero alternative. Eppure si tratta di uno pseudoanglicismo. Non è dunque un “prestito”, ma il risultato di un trapianto che germoglia da radici anglofone geneticamente modificate. È presente solo -- smart card, gli smart drink e le smart drug, lo smartphone, le smart city, gli smartglass (occhiali potenziati), la smart tv e via dicendo. Insomma, è un anglicismo piuttosto prolifico (si potrebbe parlare di produttività, ma “anglicismi produttivi” non suona un’espressione neutra), e infatti, per coerenza con lo smart working, si registrano anche le prime combinazioni forse passeggere come la smart didattica, -- app di tracking) e si porta con sé l’aumento delle occorrenze di app e di privacy in un intreccio che vede non solo spuntare nuovi anglicismi, ma anche una maggior frequenza di quelli già diffusi. Task force, screening, trend… i picchi di stereotipia -- impressioni. La nuvola degli anglicismi instabili La mia impressione è che, complessivamente, ci sia stato un aumento significativo della “nuvola di anglicismi” che ci avvolge quotidianamente, un travaso dell’inglese nel nostro parlare di ordine di grandezza superiore agli oltre 3.500 anglicismi registrati in un dizionario. Mi pare che questa nuvola si sia ampliata attraverso un bombardamento mediatico che ricorda la panspermia o la riproduzione -- comunicativa applicata in modo sistematico, e non sempre consapevole, per elevarsi e identificarsi socialmente. Al momento non è chiaro cosa strariperà da questa nuvola di anglicismi instabili, né cosa resterà di questo linguaggio pandemico, finita l’emergenza. Bisogna però tenere presente che quasi nessun anglicismo del lessico del coronavirus è spuntato dal nulla. Quasi tutti circolavano già con bassa frequenza, e hanno trovato il terreno per crescere dopo un periodo di latenza a volte anche lungo. L’analisi dei mezzi di informazione evidenzia soprattutto questo esondare che fa pensare allo tsuanmi anglicus evocato da Tullio De Mauro. Questo diluvio di anglicismi è composto da parole che, come tante goccioline, formano una nube piuttosto densa. La maggior parte di esse si dissolverà, ma altre nel ricadere a terra