Italia L’italiano e gli anglicismi: la Treccani fa il punto Annamaria Testa, esperta di comunicazione -- “C’è un ampio sentire comune che, soprattutto in rete, si traduce in una forte insofferenza soprattutto verso gli anglicismi, percepiti come un’orda selvaggia e inarrestabile che attenta all’identità della lingua italiana”. A scriverlo è la Treccani, che sotto il titolo Il Bel Paese dove l’OK suona fa il punto sugli anglicismi raccogliendo diversi interventi in risposta a una notevole serie di quesiti: “Vi sono pericoli reali? È proprio delle lingue e dei linguisti erigere steccati e stabilire -- il termine che lo definisce Per le istituzioni, la scelta di usare gli anglicismi è spesso frutto di conoscenze linguistiche e culturali superficiali. Il Miur, sottolinea Corbolante, dovrebbe promuovere la formazione di -- dell’intera storia della lingua italiana. C’è l’impressione che il fenomeno sia in ulteriore crescita. Cresce anche l’insofferenza collettiva. E l’abitudine dei politici di usare gli anglicismi sembra, dice Cortelazzo, un espediente per manipolare l’opinione pubblica. -- un recente messaggio indirizzato alla ministra Giannini “cara ministra, la prego di non vantarsi dei miei risultati”. La battaglia contro gli anglicismi, scrive D’Alessandro, è persa in partenza perché la lingua non si può indirizzare né costringere. L’italiano non corre pericolo: una parola inglese che entra nell’italiano è quasi subito adattata alla -- Manzini usano termini inglesi poco o niente. Fanno eccezione Alessandro Piperno, Walter Siti, Mauro Covacich e Sandro Veronesi, che comunque dimostrano di usare gli anglicismi in modo consapevole, e con funzioni espressive. Ne esce, scrive la linguista Valeria Della Valle che ha indagato un’opera di ciascun autore, un quadro confortante: nella produzione letteraria siamo ben lontani dal 12-14 per cento di anglicismi che si ritrovano nel linguaggio giornalistico, con un’impennata di frequenza negli ultimi 3-4 anni. -- Anche il linguista Salvatore Claudio Sgroi sottolinea che i prestiti linguistici arricchiscono la lingua che li riceve: l’idea di usare gli anglicismi non andrebbe rifiutata in nome di un’astratta “fedeltà alla lingua”, nemmeno quando esistono termini italiani corrispondenti: l’alternativa inglese può comunque apparire più prestigiosa, elegante, -- Ed eccoci alla scuola: Daniele Scarampi insegna lettere alle superiori e si occupa di didattica. Dice che la seduzione degli anglicismi, e anche di quelli inutili, resta forte. Eppure, a scuola, i ragazzi trovano ostico l’inglese, lo studiano in maniera mnemonica, faticano -- A questo proposito, la domanda torna a essere quella posta da Treccani: stiamo esagerando, o no? I due dati numerici che escono dagli interventi sono: 12-14 per cento di anglicismi nel linguaggio giornalistico (Della Valle) e un terzo dei forestierismi della lingua italiana adottati tra il 1990 e il 2003 (Cortelazzo). Che cosa è