Condividere la vita è una gioia... faticosa
Giuliana Musso è una vera Wonder Woman, dal titolo di uno dei suoi ultimi lavori, che è riuscita a conciliare la vita di mamma con quella di attrice

Giuliana Musso è una vera Wonder Woman, dal titolo di uno dei suoi ultimi lavori, che è riuscita a conciliare la vita di mamma con quella di attrice. Impegnata a rompere il soffitto di cristallo e a denunciare le barriere sociali, culturali e psicologiche che rendono difficile, se non impossibile, fare carriera, ha trovato un altro campo di battaglia, quello del palcoscenico appunto.
La nostra è una delle regioni in cui si fanno meno figli…
“Il tasso di natalità racconta come stiamo. La maggior parte della popolazione non si rende conto di quanto questo pesi sul nostro futuro e sul benessere economico in generale. Questo tasso di natalità non permette la ripresa economica. Noi abbiamo raccontato come questo dato si accompagni all’astensione sociale”.
In altri Paesi europei la situazione è molto diversa. Perché?
“Si fanno più figli dove il tasso di occupazione femminile è più alto, l’offerta di welfare è maggiore e migliore. Perché la situazione italiana è quella di un Paese che ha ottime leggi, ma non le applica”.
C’è anche dell’altro?
“Ci sono aspetti culturali che impediscono a un Paese democratico, all’interno dell’Europa, di cui ci possiamo vantare, di crescere. L’Italia è ancora fondamentalmente dominato da una mentalità maschilista. La retribuzione delle donne a cinque anni dalla laurea è inferiore a quella dei maschi pari grado. Ma chi riesce a fare carriera, e anche a essere madre, raggiungendo obiettivi visibili, ha la vita dura”.
Spieghi meglio.
“Quintali di dati dimostrano che, nella vita quotidiana, gli uomini non condividono il lavoro di cura. A loro interessa soltanto il tempo del lavoro. Sono lontanissimi dalla media europea per tempo dedicato alla famiglia. Le donne producono un Pil invisibile di cura ai bambini, ai malati e agli anziani, che non viene assolutamente condiviso dagli uomini. Ma finché si accettano compagni bambini e rimaniamo attaccati ai cliché morti e sepolti del macho che lavora e basta, allora non si cambierà mai”.
Cosa si dovrebbe fare?
“Non è che l’uomo deve il cambiamento alle donne. Lo deve a se stesso e all’umanità. Rinunciare a tutte le pratiche di cura e accudimento significa rinunciare ad avere un cervello, per quello che vale. Rinunciare alle responsabilità primarie rispetto agli altri, rispetto allo spazio che si abita, da rendere sano ed efficiente per tutti, significa rinunciare a una parte di sé, per aderire a un modello di maschio che non dovrebbe più esistere”.
Ma ci sono anche uomini diversi, soprattutto quelli più giovani…
“Gli uomini così vanno assolutamente valorizzati. E’ una leggenda che le donne non insegnino ai propri figli un modo diverso di vivere. Purtroppo, però, se i bambini non hanno in casa un esempio maschile accudente e poi fuori di casa trovano solo i machi della tv, allora le donne hanno lavorato per niente. E questo rischia di farle diventare arroganti e aggressive. I giovani uomini sono cresciuti in una società dove, almeno in teoria, il rapporto con le donne era già paritario, c’erano le stesse opportunità e gli stessi diritti. I giovani hanno potuto concepire già dagli anni di studio un progetto comune e si sono potuti liberare da un certo modello di maschio”.
Cosa dovrebbero capire gli uomini?
“Che condividere la vita diventa gioia e fa intraprendere un percorso verso la felicità. Bisogna valorizzare i partner complici ed evoluti, che dividono i compiti in termini paritari e che sono lontanissimi dal modello di maschio macho e dalla brutalità. Gli uomini dovrebbero anche cominciare a parlare di queste cose”.
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