FRONTIERA
Nella storia degli Stati Uniti, la linea di demarcazione fra le regioni già colonizzate e quelle ancora selvagge e, per estensione, le regioni contigue a tale confine, caratterizzate da una popolazione molto scarsa (dai quattro ai sei abitanti per miglio quadrato), occupata principalmente a dissodare la terra e costruire abitazioni.

GLI UOMINI DELLA FRONTIERA.
La vita dura e primitiva dei frontiersmen fu descritta da vari viaggiatori, in toni non di rado critici, già molto prima della rivoluzione americana. Sebbene nel tempo il termine sia stato applicato ai più svariati settori, e si sia parlato di frontiera dell'esplorazione, della conquista militare, della penetrazione religiosa, della ferrovia, il riferimento più diffuso e immediato è stato quello all'agricoltura, anche se l'arrivo dei contadini portava irrimediabilmente con sé la scomparsa degli aspetti più selvaggi del territorio e, in ultima analisi, della frontiera stessa. Fino al 1800 le regioni interne dell'America settentrionale erano per la maggior parte ignote, e ciò contribuiva alla diffusione della credenza che esse consistessero in estensioni pressoché infinite di terre coltivabili in grado di nutrire milioni di persone. Tale convinzione, suffragata anche da spedizioni esplorative, alimentò l'ideale agrario, che vedeva quella americana come una nazione autosufficiente, sviluppata attorno alla valle del Mississippi e ai suoi prodotti, e non dipendente dai traffici marittimi col vecchio continente. In tale direzione si orientarono dopo l'indipendenza la politica economica di Benjamin Franklin e soprattutto quella di Thomas Jefferson, che con l'acquisto della Louisiana (1803) aggiunse un'immensa area di frontiera agli Stati Uniti. Caratteristica della frontiera era la grande disponibilità di terre libere, che venivano via via colonizzate dando vita a situazioni intermedie fra la wilderness e la "civiltà", con ovvia prevalenza della prima nelle aree più a ovest, e dunque di più recente insediamento, e che durarono fin verso il 1890, allorché il completamento dell'occupazione del territorio nazionale segnò la fine della frontiera. I caratteri della frontiera furono pressoché gli stessi tanto a nord come a sud. Solo in una fase successiva lo sviluppo si diversificò, dando origine nel sud al sistema della piantagione e inducendo i piccoli agricoltori indipendenti a trasferirsi al nord o verso ovest per creare una nuova frontiera. Nel Midwest si affermò un'agricoltura non più di semplice sussistenza ma produttrice di beni da esportare e scambiare. Nelle Grandi Pianure l'allevamento iniziò a essere organizzato su basi imprenditoriali. L'età della frontiera fu inoltre permeata da un forte individualismo, e l'avanzata verso ovest venne compiuta da singoli o da gruppi familiari, il cui successo era affidato più alla capacità di lavoro che all'investimento di capitali e che espressero una società almeno inizialmente relativamente egualitaria. Almeno in teoria, pari opportunità erano offerte a tutti, anche se nelle fasi immediatamente successive alla colonizzazione iniziarono a delinearsi varie forme di stratificazione sociale. Le esigenze poste dall'esistenza della frontiera determinarono inoltre la nascita di nuovi fenomeni e istituzioni, fra i quali un esercito stabile per la difesa del territorio attraverso la costruzione di forti destinati a proteggere i confini delle regioni acquistate o espropriate agli indiani, definite terre libere. Furono anzi questi militari impegnati nelle guerre contro gli indiani a permettere l'esplorazione minuziosa del territorio e, in ultima analisi, la sua occupazione.

IL CARATTERE NAZIONALE. La frontiera favorì inoltre il formarsi di una categoria di commercianti, che si configuravano come venditori ambulanti nelle fasce più esterne, mentre nelle zone di insediamento più stabile gestivano empori forniti di ogni genere di merci da vendere ai pionieri, con forme di pagamento basate tanto sul denaro quanto sul baratto. In molti villaggi l'emporio venne a costituire un centro di aggregazione, nucleo dei rapporti sociali della comunità. Quest'ultimo fu fenomeno comune a ogni regione che visse l'esperienza della frontiera e nella seconda metà dell'Ottocento nelle regioni dell'Illinois, del Missouri o dell'Iowa si trovavano gli stessi empori tipici, decenni prima, di stati più orientali. Analogamente, la frontiera diffuse un tipo di religiosità suscitata da predicatori itineranti. Più tardi si formarono parrocchie e congregazioni delle più diffuse confessioni protestanti: battisti, metodisti, presbiteriani. I predicatori pronunciavano sermoni che, con linguaggio forte e immaginifico, miravano a installare il senso dell'incertezza dell'esistenza, della prossimità della morte e il timore della punizione divina per indurre i peccatori al pentimento. Il ruolo della frontiera nella formazione del carattere nazionale americano fu per la prima volta trattato da Frederick Jackson Turner in un saggio del 1893 nel quale la frontiera veniva definita come la regione al limite estremo dell'insediamento agricolo e considerata, in virtù del tipo di vita che imponeva ai propri abitanti, motore primo della particolarità dell'esperienza storica americana e dello sviluppo delle idee politiche e della democrazia americana.

L. Cremoni

E. E. Dale, Frontier Ways: Sketches of Life in the Old West, Texas University Press, Austin 1959; R.A. Billington, America's Frontier Culture: Three Essays, Texas University Press, Austin 1977; Id., Westward Expansion: A. History of the American Frontier, Macmillan, New York 1982.