L’aria calda, rarefatta, la luce accecante del sole, l’atmosfera intrisa di attesa e di tensione. E’ ciò che si ritrova in ogni respiro, in ogni sospiro della gente in questo lembo di sabbia di nessuno. Siamo al confine di terra tra la Giordania e Israele, in Medio Oriente. Poco distante da qui la Cisgiordania e la striscia di Gaza. Poco più di trecento chilometri quadrati contesi da Israele e dall’Anp, Autorità nazionale palestinese.
Il passaggio tra questi due mondi avviene lungo un territorio arido, secco, desolato, dall’aspetto piatto. In autobus, dal regno di Giordania, ci avviamo verso Gerusalemme, verso la Terra promessa. E dai finestrini notiamo ciò che ci circonda nel tratto che separa questi Paesi. Niente. Il nulla. Qui non c’è davvero nulla. Una strada, sabbia ai lati di essa, colline solitarie e il sole estivo a picco che le brucia ogni giorno.
I due confini si lasciano uno spazio in mezzo per muoversi senza essere troppo vicini tra loro. Si giunge alla prima tappa del viaggio, ovvero la stazione di controllo che consente l’uscita, con pedaggio, dalla Giordania verso il confinante stato. La gente si affolla agli sportelli a cui presentare i documenti.
Una folla umana variegata. Pochissimi viaggiatori occidentali attraversano questo luogo, la maggior parte sono palestinesi che, tornano a casa, vanno in visita ai parenti o in pellegrinaggio nei luoghi santi. Qui, c’è un po’ di tutto. Una piccola umanità eterogenea.
Donne musulmane con il capo coperto che tengono in braccio bambini piccolissimi, uomini che portano il peso dei bagagli e non solo. Religiosi, ebrei con il loro tipici cappelli neri e i riccioli ai lati del capo. E, nel calderone ci siamo anche noi. Occidentali in viaggio alla scoperta di un pezzo del pianeta assolutamente suggestivo, emozionante e meraviglioso, ma anche assetato di spazio, libertà e pace.
L’attesa alla frontiera è lunga, estenuante, pesante. E lo è per tutti, ma i turisti europei, superati i rigidi controlli dei passaporti, i numerosi chek point per la ricerca di eventuali armi nei bagagli e tra gli indumenti, dopo un paio di ore, riescono a salire su un altro autobus che li conduce alla meta. Israele.
Per gli altri, invece l’attesa, solitamente dura sei ore. Sei ore di polizia che apre i bagagli. Sei ore di controlli personali. Sei ore di passaporti che vagano tra le mani dei militari. Sei ore. Ed è così sempre. La situazione politica attuale non permette sollievo alcuno.
Finalmente, scesi dal secondo autobus, ci addentriamo in un’altra struttura dalla quale, controllati nuovamente i documenti, usciamo calpestando il suolo israeliano. E’ il momento di ottenere il visto di Israele. Cerchiamo di convincere la poliziotta del gabbiotto a non timbrare direttamente il passaporto, ma un foglio allegato ai nostri documenti, come ogni tanto capita che si faccia, ma a quanto pare non siamo fortunati.
Il timbro di Israele sul passaporto ci impedisce di entrare in altri Paesi. In Iran, in Oman, in Algeria, solo per citarne alcuni. Ma se è uno scotto da pagare per visitare una terra antica e affascinante come questa, allora vale la pena pagarlo. In fondo, è solo un marchio. Per noi.
"Vogliamo vivere qui tutt’e due" di Amal Rifa’i e Odelia Ainbinder - Tea, 2003
Gerusalemme mai liberata. Cuore d’Israele e Palestina. Città contesa, divisa in settori dai fedeli delle varie religioni. Mosaico di colori, suoni, profumi, volti. Gerusalemme sta sulla pietra come sulla pelle del mondo.
A Ovest del Giordano, una terra contesa che tiene in subbuglio il mondo intero. La valle del Giordano, Hebron, Gerico, Betlemme, Nazareth, Ramallah. Cisgiordania. Viaggio nei Territori occupati. Viaggio in Palestina.
Il mare, che in verità è un lago, è situato tra il territorio della Cisgiordania e la Giordania. Terra d’amore, di rabbia e di lutti. Terra disperata e silenziosa.
Fa riflettere quel marchio sul passaporto che ti impedisce di andare in alcuni Paesi che non riconoscono la sovranità di Israele, fa ritornare indietro nel tempo quando il marchio a sei punte impresso sulla pelle degli ebrei impediva a queste Persone di vivere nella libertà la propria esistenza. Il mondo evolve, corre, si trasforma ma la libertà resta un privilegio ancora di pochi.
Grazie Stefano per il tuo commento.
Io sono stato in Israele 2 volte, una come semplice turista, viaggiando da nord a sud senza meta ma facendomi trasportare da ciò che mi consigliava la gente del posto, e una per una per un summer camp con bambini palestinesi. In quello che scrivi, rivedo perfettamente la mia esperienza, aggiungo solo della grandissima difficoltà in cui vivono i palestinesi, in una povertà quasi assoluta, ma con grande dignità e grande speranza, almeno in quelli che io ho incontrato e con quelli che conosco, che la situazione possa migliorare in maniera pacifica
Grazie Manuel per il tuo contributo. Condivido pienamente la forte sensazione di dignità che ispirano queste persone la cui vita è in costante povertà e pericolo. Se il futuro potrà essere migliore, mi auguro che giunga presto.