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Fulvio Caccia, "La frontiera tatuata"

Giancarlo Calciolari
Dalla linea gotica alla frontiera tatuata di Fulvio Caccia, ci spetterebbe di leggere il caso della linea, da Euclide a Vappereau, passando per Desargues, Cantor e Gödel.
(9.09.2008)

Fulvio Caccia, La frontière tatouée, Triptyque, Montreal, 2008

Nel giardino paradisiaco della nostra vita, umani, animali, vegetali e minerali vivono una vita comune, ma l’orpello della società costruisce frontiere e limiti, che non ci sono, nel senso che le copie non raggiungeranno mai l’originario. È la distinzione sociale a dividere la vita, a renderla incomune, sino a dividere l’uomo, come se n’era accorto lo psichiatra Ronald Laing, oggi non più citato da coloro che lo osannarono in vita.

L’Eden non è la mistica come autopercezione dell’inconscio al di là dell’io, è il giardino che s’intravede quando la frontierà non è più così netta come vorrebbero invece farci credere le discipline umane “molli”, come la sociologia, l’antropologia, la psicologia, che euforiche disprezzano la teologia e disforiche non sanno come cavarsela con la matematica.

La frontiera tatuata è l’inesistente frontiera tra l’arte canonica, anche contemporanea e i tags, i graffiti con le bombolette spray sui muri. Frontiera colabrodo anche tra artisti e graffitisti, tra padri e figli.

La storia del romanzo La frontière tatouée di Fulvio Caccia comincia con una poesia di David Killroy, figlio del protagonista, Richard. Comincia con un artista che non raggiungerà mai il posto sociale al sole dei Titani, come Pollock, De Kooning, Van Gogh e Picasso.

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Christiane Apprieux, "Giardino onirico", 2008, acrilico su pannello, cm 244x122

Non sfugge il gesto fondatore, originario, scandalosamente dogmatico affermativo e assertivo di integrare nella lingua ciascun elemento di vita, come ha fatto Dante. Infatti non c’è nessuna frontiera certa tra la parola sacra e la parola profana, tra l’arte sacra e l’arte profana. Già con Leonardo questa distinzione (sociale) tra arte intellettuale e arte manuale non regge più. Anche la beffa di Duchamp va in questa direzione. Allora i tags sono un’espressione di vita che cerca i suoi lettori. Così come i suoi lettori non di stato o di antistato (da Ferry a Negri) cercano i “fatti” della rivolta delle periferie parigine di pochi anni or sono.

La storia de La frontière tatouée si svolge nella frontiera incerta tra la metropoli e la periferia, su colline artificiali, create dall’uomo con l’estrazione secoli prima del carbone. Al punto che la vita bruciante della rivolta delle periferie non tocca solo il figlio diciottennne, David, dell’artista Richard, ma giunge materialmente sino alla porta della cantina di casa.

Quando Richard, ancora insofferente alle regole sociali, si attiene alla vita assoluta, nella ricerca di salvare la vita al figlio catturato nei meandri di un’altra frontiera tatuata, quella tra il virtuale e il reale di internet, allora il giardino della vita ritorna paradiso, e ogni albero regala i suoi frutti, e così ogni animale e ogni minerale, perché ciascun elemento linguistico, poetico è di vita.

Come la linea che separa i regni della terra, nei racconti di Ovidio, va e viene, si sposta, si appanna. Frontiera tatuata, ovvero i tags come tatuaggi. La scrittura sul corpo è scrittura dell’esperienza? Per lo più, no. Per lo più è un errore tecnico. Un’usurpazione del corpo presunto proprio. Eppure noi dobbiamo leggere i tatuaggi, come Richard Killroy legge il suo nome, quasi come un destino; e come l’autore, Fulvio Caccia, legge la vita.

Dalla linea gotica alla frontiera tatuata di Fulvio Caccia, ci spetterebbe di leggere il caso della linea, da Euclide a Vappereau, passando per Desargues, Cantor e Gödel.

Se il confine resta fermo e si cambiano le parti (sociali), Atteone sarà divorato dai suoi cani che non lo riconoscono più. E forse viene riconosciuto per quello che è, il visionario e non lettore del corpo di Diana. È quello che accade a Gan, non a caso l’ex tagueur che è diventato artista socialmente riconosciuto. Si tratta di questo cannibalismo quando Artaud afferma nella conferenza al teatro del Vieux Colombier che la società ci divora i coglioni. Il cinismo della riuscita sociale è canismo. L’uomo cane. La vita sostitutiva: l’animale al posto dell’uomo. Tale è anche il modo banale di leggere il mito di Abramo e Isacco.

La frontiera tatuata, il tremante confine costituito dalla periferia, non si trasforma in abisso: la nebulosa voragine è come il buco nella teoria di Jacques Lacan, che risputa fuori qualcosa dell’ordine della verità, il nome.

I graffiti sono come le lettere tracciate sulla sabbia dallo zoccolo di Io, come il gemito di Atteone, come il nome ripetuto di Kaspar Hauser, come le opere di John Florio che firma con il nom de plume di Shakespeare...

Ciascun dettaglio nella narrazione di Fulvio Caccia è importante e apre una e anche più piste di lettura. Certo, si possono anche non leggere i vari strati del suo palinsesto e leggere la storia del pittore in piena crisi Richard Killroy, mentre si separa da sua moglie, proprio quando suo figlio David, in rivolta contro di lui, si unisce a un gruppo di graffitisti e sparisce nei scenari virtuali e sostanziali di un gioco on line. Eppure anche il lettore più tradizionale, quello che si attiene alla superfice del testo, che è pur sempre essenziale, entra in una zona di frontiere incerta, quella in cui la letteratura giunge con un tono di verità. Tale la strana lettera che Richard riceve, come una freccia scoccata da un passato insospettabile. Come il settimo punto del dado, che indica appunto anche la strategia narrativa di Fulvio Caccia.

La frontière tatouée è il quarto romanzo di Fulvio Caccia, che vive e lavora nei dintorni di Parigi, dopo aver vissuto molti anni a Montreal, giuntovi bambino con i genitori migranti da Firenze. Forse si tratta del primo romanzo di un’onda differente di scrittura, dopo la conclusione di una trilogia di romanzi: La linea gotica2004), La coincidenza (2005) e Il segreto (2006), entrambi pubblicati da Triptyque. Una costante nel lavoro di scrittura di Fulvio Caccia è che la sua lettura di una storia è anche una lettura della Storia, infinitamente più ricca e articolata di quella degli storici di professione. Occorre notare che l’ambizione di leggere la Storia non nutre la maggior parte della letteratura, quella che viene chiamata la World Literature. E per questo è ancora più prezioso l’approccio singolare e inedito di Fulvio Caccia.




Sito delle Edizioni Triptyque di Montreal : www.triptyque.qc.ca


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14.12.2010