greca giunse a interpretare la vita come ininterrotto erompere di energhèia. Questa misteriosa forza propulsiva fu chiamata, ad esempio da Aristotele, l’essenza stessa del vivere, fonte radicale di decisione tra il pre-valere e il soccombere. Il giudizio di Gumplowicz è di tipo tradizionale: la realtà va riconosciuta per quello che è, senza edulcorarla con ipocrisie alla liberale o alla marxista. Per questo, egli annuncia l’impossibilità di abolire il dominio. Anzi, essendo il dominio l’essenza del politico, compito dello Stato sano sarà quello di renderlo organico, armonico: la tirannia oligarchica estranea al popolo non è aristocrazia di comando, ma un’indegna usurpazione. La concezione politica di Gumplowicz è comunitaria. L’origine dello Stato è il «prodotto della superiorità di un gruppo umano belligero e organizzato di fronte a un altro imbelle». In questa contesa i migliori non sono individui astratti, ma esemplari della stirpe che agiscono solidarmente: l’uomo «combatte come membro del suo gruppo, come individuo ha un’importanza minima». Da tipico ebreo galiziano emancipatosi nelle accademie austro-ungariche, Gumplowicz ebbe una sicura sensibilità per l’identità di stirpe. E cosa